Otto anni, rapito dalla madre «Ti prego, portami via con te»


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(Maria Ferrara-"Madre in fuga"-olio su tela-)

Otto anni, rapito dalla madre «Ti prego, portami via con te» Leone conteso e ora ricercato: non voglio tornare nella casa famiglia. Ogni volta che lo obbligano a vedere il padre:"vattene mi fai schifo lasciatemi in pace perché non mi credete voglio tornare a casa mia"

di MARIDA LOMBARDO PIJOLA ROMA- La braccano per toglierle il figlio di otto anni che nasconde. Manuela sa che la legge non sempre ha ragioni simmetriche a quelle dei sentimenti della gente. Sa che i Carabinieri li stanno cercando dappertutto, lei e suo figlio, e le sarà sempre più difficile rassicurare Leo, nella bolla dove vive in simbiosi con lei come nel ventre, come sempre. «Mi dice: ”mamma, non lasciare che mi prendano, non voglio tornare in casa famiglia, non voglio vedere mio padre, io gliel’ho urlato pure l’altro giorno a quei signori con la toga, gli ho raccontato le cose brutte che mi ha fatto, perché non mi ascoltano, perché non mi credono?”. Non so che rispondergli». E allora vorrebbe urlare anche lei, come Leone ha fatto la settimana scorsa, quando ha visto suo padre in Tribunale, e come fa invariabilmente tutte le volte che lo costringono a incontrarlo, e allora piange, si sbatte per terra o contro i muri, lo accusa, lo insulta, moltiplica l’energia del suo fiato di bimbo per gridare, con una coerenza inflessibile, struggente, disperata: «vattene mi fai schifo lasciatemi in pace perché non mi credete voglio tornare a casa mia».

Manuela invece no, non urla. Racconta lentamente, dissimulando il dolore il terrore l’ansia in un registro di voce tranquillo, come se fosse una storia capitata ad altri, non a lei. Nel luogo dove nasconde il suo bambino, al sicuro dall’infierire scomposto dei torti e delle ragioni degli adulti, Leone gioca e fa i compiti e guarda i cartoni, ma poi ogni tanto è scosso da un soprassalto di memoria. Guarda sua madre con quel suo sguardo vivo e lucido, da grande, e chiede: «Perché fanno questo a un bambino? Perché ci vogliono separare? Perché mi vogliono chiudere in quel posto dove mi fanno del male?» In casa famiglia Leone è già stato cinque mesi, ed tornato scosso magro sporco ammalato, e ha raccontato di violenze e molestie, e di ragazzi che avevano il doppio dei suoi anni. E’ solo una sequenza dell’incubo di Leo, bimbo conteso tra Manuela, romana, già conduttrice di programmi per bambini e producer in Rai, che accusa il padre di averne abusato sessualmente, e Mike, grafico, americano, che accusa la madre di averlo rapito e di manipolarlo per sottrarlo a lui. Leone, nome inventato da lui stesso a beneficio del cronista, «perché il leone, dice mio figlio, è simbolo di forza interiore».

Da quattro anni, il piccolo leone affronta con grinta una vita vulnerata, vessata da una feroce vicenda giudiziaria tra gli Usa e l’Italia. Negli Stati Uniti Leone è famoso, per via di una campagna mediatica promossa da suo padre tra networks, giornali, video, duecento siti web che pubblicano foto e nome del bambino, al grido: salviamo Leone, rapito da sua madre. Salviamolo, già, ma da che cosa? «Il bimbo ha un legame positivo, sano, forte, intenso con la mamma, unico riferimento sicuro della sua vita. Toglierlo a lei è come strappare un albero dalla sua terra: muore», assicura il neuropsichiatra infantile Luigi Cancrini, che ha in cura Leo da due anni. «E’ lucido, credibile, intelligentissimo. E’ certo di aver subito abusi. A prescindere dal merito processuale della vicenda, costringerlo a vedere il padre è una violenza».

Una storia violenta, dal principio. Un matrimonio finito male, una gravidanza fuori tempo, e Manuela torna in Italia per partorire. «Anche se Mike non si faceva quasi mai vedere, e non pagava gli alimenti, sono tornata a vivere negli Usa: volevo che mio figlio crescesse con un padre». E adesso il racconto si spezza nei singhiozzi. «Quando autorizzano gli incontri con pernottamento, Leone torna pieno di lividi, sembra impazzito, manipola le sue parti intime, fa pipì a letto, piange, non dorme, non vuol vedere il padre. Infine racconta di strane foto, strani video, strani giochi». Alcuni psicologi ipotizzano abusi sessuali. Manuela, disperata, torna in Italia col bambino, e denuncia l’ex marito. Lui accusa lei di rapimento. Un successivo intrigo giudiziario, tre perizie, due che ritengono verosimili le accuse di Leone e un’altra no, esperti e magistrati divisi tra la tesi della credibilità del bimbo e quella di un suo condizionamento da parte della madre.

Nel dubbio, il Tribunale toglie a entrambi i genitori la patria potestà. Infine Mike prosciolto: potrà avere incontri protetti con il figlio. Ma il figlio lo rifiuta. Dopo la prima esperienza traumatica in casa famiglia, il bimbo viene collocato dai nonni materni. Chiede di non vedere più suo padre. Di stare con sua madre. Di spiegare le sue ragioni a un magistrato. Racconta Mario Occhipinti, legale di Manuela. «Lo hanno convocato senza avvertici. Si è trovato davanti suo padre senza la nostra assistenza, senza essere stato preparato. Ha pianto, ha urlato. Non hanno trovato di meglio che disporne l’immediato collocamento in casa famiglia e il divieto di rapporti con la madre e i nonni. Ho ricusato i giudici. E li denunceremo al Csm».

«Non ho mai visto una così crudele violazione del diritto all’ascolto e al rispetto dei bambini», s’indigna Andrea Coffari, presidente del Movimento per l’Infanzia, che si è associato alla difesa di Manuela. «Il bimbo è sparito, è in corso un’indagine della Procura: nessun commento», dice Roberta Ceschini, legale di Mike. Intanto il piccolo leone si attrezza per difendersi da solo. Una lettera a Napolitano e Berlusconi. «Voglio una vita normale, ed essere lasciato in pace con mia mamma, e che mio padre mi lasci stare. Aiutami». Anche se gli adulti non gli credono, lui non ha ancora smesso di credere in loro.

Il Messaggero 28 novembre 2009

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