Ma i pedofili non guariscono
Posted On venerdì 8 maggio 2009 at alle venerdì, maggio 08, 2009 by Roberta LericiALESSANDRO CALDERONI
Lo afferma lo psicologo che cura, fra gli altri, anche i preti che abusano di minorenni. Per questo, spiega, non è prudente lasciarli al loro incarico. Amezzo chilometro dalla Basilica di San Pietro, in Vaticano, lavora un professionista che conosce i più cupi segreti di alcuni membri del clero. Non è un confessore ma un clinico. Poco meno di sessant’anni, origini pugliesi, uomo di scienza prima che uomo di fede, Aureliano Pacciolla insegna psicologia della personalità alla Lumsa ed è psicoterapeuta orientato verso l’ipnosi e il cognitivismo. Dirige la collana Psicologia e interdisciplinarità dell’editore Laurus Robuffo ed è consulente tecnico del tribunale di Roma e della Sacra rota. Il suo campo d’azione specifico riguarda l’abuso sessuale: in particolare l’abuso su minorenni e la pedofilia.
In qualità di terapeuta tenta il recupero di pazienti che si sono macchiati di questi reati anche all’interno del clero. In veste di studioso e ricercatore, è chiamato a tenere corsi di aggiornamento per superiori del clero, su questi temi. «Il primo caso di cui mi sono occupato riguardava un laico e mi ha insegnato che riconoscere un pedofilo non è cosa semplice, anche se sei un esperto» spiega Pacciolla. «Bruno aveva 35 anni e veniva da me per curare i suoi stati d’ansia dovuti alla separazione dalla moglie e alla disoccupazione. Dopo 2 anni di trattamento, di punto in bianco, mi rivelò che molto tempo prima aveva abusato di sua figlia, quando lei aveva 4 anni. La toccava mentre dormiva». Come andò a finire? La ragazza a 16 anni soffriva di stati dissociativi che non le permettevano di studiare con profitto. Il padre sparì poco dopo avermi rivelato il suo segreto. Quando vide il primo pedofilo in abito talare? Era il 1995 e mi trovavo fuori Roma. Un viceparroco di 29 anni trovò un pretesto per avvicinarmi e mi confidò che allenava la squadra di calcio dell’oratorio e al termine delle partite si improvvisava massaggiatore per toccare i bambini di 8-9 anni. Dopo il racconto, non si fece più vivo. Ricordo anche il caso di un frate straniero 55enne: da un lato aveva un’autentica ossessione per l’orario delle messe e per alcune sequenze di preghiere; dall’altro metteva in pratica fantasie masturbatorie con bambini, con la scusa che «anche loro sorridevano. Messo di fronte al fatto che un bambino non può scegliere liberamente di partecipare a un atto sessuale, dopo tre sedute si volatilizzò pure lui. In entrambi i casi segnalai i soggetti al vescovo di riferimento e all’autorità giudiziaria. Lei denuncia i suoi pazienti? L’obbligo di referto prevale sul segreto professionale quando è a rischio un bene comune. Poiché arrestare le tendenze pedofile di un soggetto è impossibile, occorre impedirgli di delinquere ulteriormente. Le sue segnalazioni hanno sempre effetto? Intervenni ripetutamente contro un prete che aveva abusato di sette adolescenti e pretendeva addirittura di farsi nominare superiore. Non finì in galera ma restò al suo posto. A poco a poco le famiglie coinvolte ritirarono le denunce e il caso si spense. Ma di certo quel frate non è guarito. Un pedofilo è incurabile? Curabile ma inguaribile, a mio parere. Primo, è veramente difficile che un pedofilo venga a chiedere aiuto da solo: arriva in terapia per altri disturbi o se viene implicato in vicende giudiziarie. Secondo, un pedofilo non riconosce la propria inclinazione, oppure non ritiene che abbia una connotazione negativa. Terzo, trattandosi di una preferenza sessuale, è pressoché impossibile variarla clinicamente. Quarto, messo davanti ai dati di fatto, in poche sedute il pedofilo abbandona il trattamento. Cosa pensa dell’ipotesi di castrazione chimica? Elimina solo l’erezione ma il pedofilo resta tale e sfoga le proprie pulsioni con altre parti del corpo, anche con maggiore veemenza a causa della frustrazione. Come si interviene allora su un paziente affetto da pedofilia? Somministrandogli antidepressivi Ssri a basso dosaggio lo si rende più permeabile al colloquio psicoterapeutico. In quella sede è possibile abituarlo a riconoscere in anticipo le immagini mentali che lo portano all’eccitazione, aumentando quindi le sue possibilità di autocontrollo. Ma anche quando il soggetto è collaborativo resta come un vulcano spento che può esplodere improvvisamente. Per questa ragione non credo sia prudente che i sacerdoti pedofili tornino ai loro incarichi. Il Vaticano cosa le dice? Personalmente non ho mai subito alcuna censura, anche se so che in non pochi casi è stata messa in atto una vera e propria «cover up policy» da parte di soggetti ecclesiastici. Non sempre le autorità ecclesiastiche hanno collaborato con le indagini delle autorità giudiziarie. Ora sembra che vi sia maggiore disponibilità, ma le resistenze sono ancora eccessive. In tribunale i casi di pedofilia in seno al clero sono sempre più frequenti. Il fenomeno è in crescita? È solo una questione di visibilità. Il clero dei paesi anglosassoni ha una maggiore percentuale di casi di pedofilia conclamata perché i loro sistemi giudiziari vantano certezza e immediatezza della pena. Al contrario, dove la pena è solo probabile e lontana nel tempo, la denuncia diventa una fonte di stress per la vittima e i suoi familiari. Alcuni poi ritengono che nelle culture latine, a prevalenza cattolica, sia più facile per la Chiesa tenere nascosta un’infamia. Ci sono differenze tra pedofili laici ed ecclesiastici? No. Le cause sono comuni: traumi subiti in infanzia o desiderio di provare nuove esperienze. Per tutti e due la pedofilia può essere una patologia, se la tendenza è stabile nel tempo, o soltanto un reato, per il quale basta un unico atto sessuale. Chi è la vittima tipo del prete pedofilo? I sacerdoti abusanti di orientamento eterosessuale molestano di solito le fedeli adulte e, meno frequentemente, suore e bambine. I sacerdoti pedofili con orientamento omosessuale, invece, statisticamente prediligono i bambini, specialmente prepuberi. Cosa succede a questi bambini quando diventano grandi? Difficile dirlo. Molti accusano un grave disturbo di personalità, detto borderline. Spesso i maschi esternalizzano la sofferenza diventando a loro volta abusanti, mentre le femmine soffrono in modo più intimo. Si è mai lasciato sopraffare dall’orrore di un racconto? Non posso dimenticare la storia di un quarantenne che dopo aver abusato della figlia primogenita, ormai diciassettenne, si era dedicato ai due gemelli secondogeniti, dodicenni: un maschio e una femmina. Violentava entrambi e, quando la bimba rimase incinta, la portò ad abortire firmando perché uscisse in anticipo dall’ospedale per poterla subito violentare di nuovo. Al termine dell’incidente probatorio andai nel bagno del tribunale a piangere.
Panorama n. 50 dicembre 2007